Demna il visionario: dalla borsa spazzatura alle crocs col tacco la sua moda “brutta” ha conquistato il mondo
Le sue idee “al limite della trollata”, per dirla con i social, fanno discutere e lui ne è felice: “A me interessa creare contrasti, non fare cose carine. E ci tenevo a piazzarmi in cima alle ricerche Google per i “sacchi della spazzatura più cari”. Lo stilista georgiano ha vissuto le conseguenze della guerra, è stato profugo in Germania, ha dovuto frequentare la scuola di moda meno costosa. Oggi, a 41 anni, è il designer a cui tutti guardano, per la sua speciale capacità di leggere il futuro
Per capire chi sia Demna, basterebbe ripensare alla folla di ragazzi assiepati la mattina dello scorso 5 luglio davanti al 10 di Avenue George V a Parigi, dove si trova l’atelier di Balenciaga. E dove, in quella data, veniva presentata la collezione d’alta moda della maison, di cui il designer è direttore creativo. Non è insolito, alle sfilate, ritrovarsi in mezzo a orde di curiosi accorsi per vedere le celebrità invitate. Solo che quel giorno, tutta quella gente – dai teenager dark agli aspiranti influencer – non era lì per le star. Che a sfilare ci fossero Dua Lupa, Nicole Kidman e Kim Kardashian era solo un bonus: loro erano lì per Demna. Suoi fan, lì per celebrare lui.
Tutto questo, in un sistema in cui i creativi spesso sono solo parte della macchina promozionale, non è scontato. Ma lo stilista se l’è guadagnata, tutta quest’attenzione: Demna (senza il cognome, Gvasalia, cui ha rinunciato da un anno) ha vestito la società a sua immagine e somiglianza, con Vetements prima e Balenciaga poi. Le tute da ginnastica, l’immaginario da cortina di ferro anni Ottanta con le spalle enormi e le misure sbagliate (ma in realtà calibrate al millimetro), le silhouette possenti, il gusto per il canonicamente “brutto”: tutto opera sua. «Vedere il mio stile addosso agli estranei è surreale, ancora oggi», ammette.
Sono passate diverse settimane da quella sfilata. Demna ora è a Zurigo, dove vive quando non è a Parigi, per ritagliarsi dei momenti di calma in una vita sinora piuttosto frenetica. A 41 anni lo stilista georgiano ha vissuto lo sgretolamento del regime comunista sovietico e anche le devastanti conseguenze della guerra, nel suo caso il conflitto russo-georgiano degli anni Novanta. Per sfuggire ai combattimenti ha dovuto lasciare la sua città, Sukhumi, finendo da profugo a Düsseldorf, senza appigli o conoscenze. Tutti elementi che lui, diplomatosi alla Royal Academy di Anversa – scuola scelta non perché fosse la migliore, ma perché la meno cara – ha inserito nella sua estetica e ora si rivedono addosso alla gente di tutto il mondo. «Qualche mese fa, a Zurigo, ho notato un gruppetto di 20enni davvero giusti: mi sono avvicinato per studiarne i look e mi sono accorto che erano vestiti come me: non avevano nulla di mio, ma le tute, l’oversize, i colori e le forme erano quelle». Sapere di essere “universale” lo fa sentire a posto con se stesso, spiega. «Non è che voglio smettere ora, ma se anche dovessi farlo avrei compiuto la mia missione. La mia moda incarna il dolore patito crescendo, il mio essere diverso, il senso di isolamento che provavo. Vederlo celebrato così è una gioia. Da qui in poi, posso pensare a divertirmi». Chissà cosa direbbero ora i bulli che lo avevano preso di mira, davanti a questo successo. «Continuerebbero a insultarmi, compreso mio padre che ancora non mi capisce! Certe cose non cambiano mai: me ne dicono talmente tante sui social media. Prima ci rimanevo male, ora so che non puoi piacere a tutti: mi odiano? Perfetto».
La risata di Demna esplode dal telefono e fa capire un’altra cosa: lui sa benissimo l’effetto che certi suoi pezzi hanno sul pubblico. Le borse che sembrano quelle dell’Ikea, le Crocs rifatte col tacco, più di recente le sporte-sacchi dell’immondizia da 1800 euro: idee “al limite della trollata”, per dirla con i social. E infatti le polemiche non sono mancate. «Quei sacchi della spazzatura sono fatti in una nappa meravigliosa: a me interessa creare contrasti, non fare cose carine. E ci tenevo a piazzarmi in cima alle ricerche Google per i “sacchi della spazzatura più cari”». Gioca sul filo dell’ironia, tanto che gli equivoci sulla sua visione restano, nonostante la popolarità: qualche mese fa un ristorante parigino non lo ha fatto entrare, giudicando il suo look troppo sciatto. Era in Balenciaga, da capo a piedi. «I francesi hanno tagliato la testa a Maria Antonietta, ma in fondo restano gli stessi».
Sarebbe però un errore sottovalutarlo, riducendo il suo lavoro a mera provocazione. Lo prova la sua haute couture: l’anno scorso ha esordito con la sfilata n° 50 di Balenciaga, dopo che Cristobal aveva smesso nel 1968, a quota 49 show, con una collezione uomo e donna capace di unire le costruzioni immacolate del sarto spagnolo alla modernità del suo pensiero. Inoltre, Demna si è imbarcato nel difficile compito di formare una nuova generazione di sarti. «Il problema dell’assumere solo veterani è che, quando magari gli chiedi di fare un vestito di neoprene come quelli del defilé di luglio, ti mandano a quel paese, perché non lo hanno mai fatto. L’esperienza talvolta porta a una visione più chiusa, perciò ho cercato persone anche non espertissime, ma appassionate. Ho bisogno di gente con cui lavorare per i prossimi 20, 30 anni».
Anche la sua clientela è molto più giovane rispetto alla media della couture: hanno tra i 25 e i 45 anni, sono quasi tutti neofiti che non conoscono riti e i ritmi di questo mondo. Per loro, la maison ha inaugurato i primi due negozi al mondo – uno da donna e uno da uomo – di alta moda: «Ci chiamavano chiedendoci come comprare quei pezzi, ci è parso chiaro che servisse un riferimento “fisico” a cui rivolgersi». Direttamente dalla passerella, sono subito andate in boutique le borse-boom box di Bang&Olufsen e le maschere oscuranti che nascondono il volto prodotte da Mercedes e indossate nelle prime 38 uscite della sfilata. «Ho letto da qualche parte che oggi il nostro limite di attenzione è al di sotto di un minuto: mi sono ingegnato per sfruttarlo al meglio. Con le facce dei modelli nascoste, il pubblico si è concentrato sui vestiti: il che nella couture è vitale, perché ruota tutto attorno a loro». Il problema è stato decidere quale volto mostrare per primo, per entrare nella seconda parte dello show. «Ci tenevo, perché simboleggiava un momento essenziale della mia vita: la prima volta che ho visto mio marito Loïk (Gomez, compositore, in arte BFRND, ndr) è stato come svegliarmi da un sonno profondo e capire cos’è davvero l’amore». La soluzione: Loïk stesso ha sfilato con il look 39, il primo senza maschera, seguito da tutte le superstar. «L’atmosfera in sala si è ribaltata, con il pubblico che non sapeva più cosa aspettarsi. Chi applaudire: Nicole Kidman? Il suo abito? Lo show?».
Demna ha sempre fatto una moda cerebrale e funzionale, sin da quando nel 2014 ha fondato (con il fratello Guram) Vetements, con cui ha reimmaginato i capisaldi del guardaroba. «Ci servivano solo un po’ di soldi e di know-how, nient’altro: non lo facevo per guadagnarci». Il problema è che le sue idee erano così buone che il brand esplode e per cercare di recuperare i fondi necessari Guram lo convince a presentarsi a tutti i grandi concorsi che mettono in palio centinaia di migliaia di euro. «Ne avessimo vinto uno. Li ho sempre odiati, i concorsi: è mortificante stare lì, impalati, a convincere i giudici delle tue idee». A uno di questi, l’Andam, arriva in ritardo, e nell’atrio deserto viene avvicinato da una persona di Kering (Demna non lo nomina, ma leggenda vuole fosse Lionel Vermeil, una delle eminenze grigie del gruppo), che gli offre il posto da Balenciaga. È il 2015. Nel 2019 Demna abbandona, con molto clamore, Vetements, gestito ora solo dal fratello. «Per me era un esperimento e invece eravamo finiti a parlare dei prezzi del packaging: non ce la facevo più».
Lo stilista si definisce un naïf, un romantico. Anche un preveggente, andrebbe aggiunto: le sue sfilate lasciano il segno non solo per l’originalità (il p-à-p della scorsa primavera/estate è stato presentato con una puntata dei Simpson), ma anche per la capacità di anticipare i tempi: lo show nel febbraio 2020, a ridosso della pandemia, riproduceva l’Apocalisse con tanto di cieli infuocati, e quella dello scorso marzo vedeva i modelli arrancare in una tempesta di neve. La guerra in Ucraina era appena scoppiata, il rimando ai suoi profughi è stato immediato. «In entrambi i casi la mia era una riflessione sulla situazione ambientale, ma è diventata tutt’altro. Immagino succeda perché la mia creatività riflette la realtà, che io lo voglia o meno. Comunque, mia madre ora è terrorizzata che allestisca uno dei prossimi show come un’invasione aliena: dice che di sicuro ci ritroveremmo con il cielo pieno di ufo».